Ci sono artisti che esprimono il proprio dolore in modo onirico, soffuso da un velo di fanciullesca poesia. È il caso di Marc Chagall, la cui concezione dell’uomo è delicatamente tragica, come possiamo vedere sin dall’opera di apertura del Museo Nazionale Message Biblique, a Nizza: la création de l’homme. Anche in questo caso, come abbiamo visto già in Michelangelo, Gaudi e Dalì, l’artista Marc Chagall commenta in modo del tutto originale il testo religioso, offrendoci la sua personale interpretazione di un versetto del testo sacro. Il sesto giorno, dopo aver creato il cielo, la terra, il sole, la luna, il firmamento e tutte le creature che abitano la terra, il Signore Dio – sia benedetto il suo nome – genera Adamo, il primo di tutti noi, il nostro modello, la nostra forma. Il quadro di Marc Chagall lo rappresenta in braccio ad un angelo, messaggero di Dio, nudo e fragile come un bambino, il capo reclinato delicatamente all’indietro, più o meno come il Cristo della pietà michelangiolesca in San Pietro. In una tela successiva notiamo che Isacco è nella medesima postura, quasi a dire: oh Isacco degli Isacchi, tutti sono Isacco! La vittima. Se Isacco, infatti, è vittima del padre Abramo, che lo risparmia all’ultimo e solo dopo un duplice richiamo di Dio, ognuno di noi lo è in Adamo. Isacco è l’interpretazione di Adamo, e Adamo siamo tutti noi. Una concezione tragica e dolente dell’uomo che giustamente s’accompagna, nel dipinto di Marc Chagall, a una campitura blu che avvolge l’intero soggetto. Un blu che possiamo tranquillamente associare al Blues degli schiavi neri o ai notturni di Chopin, o – essenzialmente – alla morte. In ogni caso, la creazione dell’uomo è avvolta da una tenebra che avvalora il carattere tragico dell’evento: ogni uomo è una tragedia giacché il suo ruolo è inevitabilmente quello della vittima. Quello di Dio, invece è quello del protettore che ha cura delle vittime. Nella creation de l’homme lo è doppiamente. Perché, se da un lato l’angelo porta con sé un uomo che tiene delicatamente in braccio come fosse un neonato, Dio stesso mostra dall’alto dei cieli dorati la sua Legge – la Torah – e un cherubino l’annuncia con suono di tromba. Dio quindi si prende cura di Adamo – ben diversamente di quanto fa Abramo con Isacco – e invita tutto il genere umano ad osservare la sua Legge affinché ogni uomo sia preservato dal male e non perseveri nello stato di vittima. La stessa Legge ossessivamente ripete di non perseguitare la vedova e l’orfano, che vanno trattati come fratelli, giacché non hanno nessuno a proteggerli e rischiano l’esclusione e l’emarginazione. Sono il nostro prossimo, dunque. Ma anche Dio partecipa alla vicenda della vittima – facendosi addirittura vittima sacrificale egli stesso nella persona del Figlio, come ricorda lo stesso Marc Chagall inserendo nei due quadri il crocefisso sullo sfondo.
Ė la Regola d’Oro di qualsiasi religione: ama il tuo prossimo come te stesso. Non ci sarebbe bisogno di raccomandarlo tanto se fosse cosa facile e ovvia. Al contrario, ė così difficile che Adamo nasce già con il marchio della vittima e dello schiavo, e persino un figlio può esserlo del padre. Tuttavia, per Marc Chagall, riconoscere ad Adamo stesso lo statuto di vittima ė educativo in più sensi. In primo luogo perché ci insegna a riconoscere la fragilità dell’uomo piuttosto che la sua potenza. Ė quella ad esigere rispetto e amore, piuttosto che questa. In secondo luogo perché ci toglie l’illusione di essere gli unici a soffrire e il nostro sia l’unico dolore a valere. Al contrario, il nostro ė il dolore di tutti, la nostra passione, la comune passione dell’uomo. In terzo luogo perché Dio stesso riconosce il nostro dolore come cosa che lo riguarda e lo coinvolge. Non siamo soli, mai. Anzi. La tenerezza di Dio ė il primo ricordo dell’uomo, il primo affetto che l’ha nutrito prima ancora che la storia di tutti iniziasse. Quella di Adamo come la nostra. Se, infatti, per Marc Chagall, il nostro ė lo statuto della fragilità, il primo ricordo non ė il feroce coltello del carnefice, bensì l’abbraccio affettuoso di un messaggero che promette un amore universale di cui possiamo avere una pallida idea ammirando la luce dorata che Dio stesso effonde da dietro la nuvola che ci protegge e lo cela. Idea e illusione, necessariamente. La stessa luce del sole, infatti, costruisce dall’interno un mondo sincretico dove tutto è presente e organizzato. Centro gravitazionale della storia non è Dio, infatti, bensì il sole che ne rivela la distanza sostituendolo in quanto principio motore e primo mobile. Dio stesso, allora, rimane al di là di qualsiasi principio, naturale o cristologico, nella differenza custodita dalla nube. La Sua stessa luce dorata, la sua gloria – kavod – si irradia dal Santo come sua emanazione, senza identificarsi con la divinità che rimane nascosta dal nostro cavernoso mondo – Platone, non ė vero? – illuminandolo solo per accenni puntiformi (un raggio di sole dorato, un riverbero sul petto di Adamo, una bava di luce sull’ala dell’angelo, un volto animale illuminato), ma che tuttavia c’ė, in forma di utopia e monito per tutti – kantianamente. Una forma la cui Legge ė amore per il prossimo universalmente umano e che quindi costituisce il nostro primo esempio da seguire, oltre ogni dolore.
Marc Chagall – La création de l’homme, sintesi
Nella visione offerta dal dipinto La création de l’homme di Marc Chagall possiamo amare, perché siamo stati amati prima ancora che venissimo al mondo. La nostra miseria ė la ricchezza di chi ha avuto il mondo intero in regalo. Così, se Michelangelo ci può insegnare a pregare dio come una Madre, Marc Chagall ci ammonisce di rivolgerci a lui come un Padre amorevole, custode del nostro primo ricordo affettuoso, prima di qualsiasi dolore, e ancora presente, seppure nell’abisso della sua insondabile differenza, non appena noi riconosciamo non solo a noi stessi, ma a tutti, il nostro medesimo dolore insieme ai medesimi sogni. In tal modo, se per il cristiano la via da percorrere passa attraverso una croce su cui Dio stesso ė appeso, mostrando così il suo coinvolgimento diretto nella vicenda di tutti, per l’ebreo Chagall la distanza che ci separa da Dio rimane incolmabile, ma la forza di ciascuno ė appunto il riconoscere il sogno di Adamo in quell’abisso, il ricordo del primo amore in ogni condizione noi si viva, cessando così di sentirci eternamente vittime. La distanza di Dio, allora, ė, in Marc Chagall, lo spazio della responsabilità che abbiamo verso noi stessi e verso gli altri; in altre parole, lo spazio della nostra libertà conquistata attraverso il riconoscimento dell’universale fragilità umana.
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