Ràbbi Ya’akòv diceva: «Chi cammina per la via studiando e interrompe il suo studio per dire: “Com’è bello questo albero, com’è bello questo solco!”, viene considerato d’animo colpevole». Pirqé Avòt 3,7
Il Signor T esce dalla tenda nel cuore della notte. I rumori del bosco sorridono sinuosi. Un fuoco scoppietta ancora la sua allegria. Un’onda di acacia l’attraversa in fiore. Il Signor T sorride: pare a lui, d’esser diventato fiore. Un cespuglio lo accoglie mentre beve un sorso dall’acqua che chiocciola festosa. Tutto ride intorno a lui, nella notte. Si volta. Alza il viso al cielo e sbiadisce. Un fiume di latte si posa sul mondo, miriadi di stelle argentate lo colpiscono come lance puntute: impalpabili, nell’immenso cielo etereo. La grande via madre argenta ogni singola foglia. La luce stilla dal mondo come luce propria. Il Signor T volta il capo. Guarda il figlio nella tenda, dormiente. Il cielo chiama ancora il suo sguardo e un piccolo dolore, come un fiore, si fissa nel cuore. Una lacrima, ma breve, cade. Sorride di nuovo: «Vivere, spezzato. Che dolorosa fortuna!». Il carro si posa sull’orlo del monte. Lui torna in tenda, chiude fuori la notte, carezza il viso del figlio e spegne se stesso fin nei più profondi recessi dell’anima.
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