Shim’òn, figlio del precedente, diceva: «Ho trascorso la mia vita fra i saggi e non ho riscontrato nulla che per l’uomo sia migliore del silenzio. Non è la speculazione teorica la parte importante, ma l’azione e chiunque si dilunghi in discorsi inutili cade in peccato». Pirqé Avòt 1,17
«Piccola, che bella sei! Fermati un pochino con noi…». Il Signor T incontra la volpe. Una coda paffuta e rossiccia sospesa su quattro zampe puntute cui fanno da corona due ciuffetti sopra le orecchie aguzze. Una bestia elegante si ferma a due passi da lui. Li guarda. Si accuccia sul prato in cerca di frescura. Anche il Signor T si siede. Il bimbo e il cane che sono con lui s’arrestano un passo indietro. Un faggio frondoso offre a tutti la sua ombra argentata come un padre provvidente. La volpe sta morendo. Volta il muso aguzzo verso il Signor T e i loro occhi s’incontrano, grati di avere un testimone. China il capo sull’erba e aspetta. Il Signor T chiude gli occhi e china il capo per l’ultimo saluto. Poi li riapre. Il suo sorriso carezza il manto della volpe. L’abbraccia dolcemente mentre insieme aspettano l’ultimo respiro. Intanto le mosche già s’accaniscono senza pudore. Così, silenziosamente, l’uomo e la bestia si salutano per l’ultima volta. Il Signor T sussurra impercettibili parole di commiato. Saluta il vento della valle che suona fra i rami, le foglie adagiate sul prato umido, gli alberi fronzuti ronzanti di insetti operosi, il chiocciolio del ruscello poco distante, l’acciottolato ben disposto del sentiero dietro di sé. Torna a guardare la volpe morente. Solo le orbite degli occhi si muovono ancora in cerca dei suoi. Si guardano a lungo a un passo l’uno dall’altra. Poi, finalmente, la bella volpe dal manto rossiccio, muore. «Papà, andiamo!». Il figlio del Signor T è impaziente di sottrarsi alla morte. Si guardano. «Questa volpe ci ha insegnato qualcosa di prezioso, figliolo». Passa un lungo istante prima che l’incerta voce del figlio torni a interrogare il Signor T: «Cosa ci ha insegnato, papà?». Gli occhi del Signor T carezzano ancora un poco l’animale, poi, dolcemente, si rivolge al figlio: «Ad accettare la morte con lieve umiltà». «E perché non dovremmo?» risponde la tenera bocca del figlio.
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